La resilienza è la capacità di risalire, di riemergere alla vita e alla luce dopo essere scomparsi, affogati, inghiottiti in un gorgo di dolore, paura, disperazione. In psicologia è l’insieme dei meccanismi che permette a un individuo di rinascere dopo un lutto, una grave perdita che ha messo in forse la sua stessa sopravvivenza identitaria (o fisico biologica). Lo stesso concetto può essere utilizzato per comprendere comportamenti di gruppi. Famiglie, villaggi, intere società possono trovare nuovo slancio dopo traumi collettivi, consolidando la propria identità e la propria forza di persistenza. In che modo e con quali caratteristiche i cristiani del Medio Oriente sono esempi di comunità resilienti? Quali sono i motivi della loro capacità di rigenerazione? Il tema merita di essere approfondito, sia sul piano storico, sia su quello psicologico.
Con l’islamizzazione di tutta l’area (e di tutta l’Africa settentrionale), tra il VII e l’VIII secolo sono passati da larga maggioranza a minoranze esigue eppure dotate di durevole consistenza interna.
In generale, quando furono attuate politiche di uniformazione politico religiosa su base islamica, nel contesto mediorientale si realizzò una dialettica diversificata fra forme di soggezione graduate fino alla persecuzione, resistenza e resilienza, convivenza.
Celle di anacoreti e monasteri hanno dimostrato straordinaria continuità, strutturandosi come isole fortezza nei deserti, in grado di far fronte autonomamente alle esigenze delle comunità. In alcuni casi, la loro permanenza lungo i secoli è stata tale da superare devastazioni e abbandoni con vere e proprie rifondazioni.
Solo per citare due esempi, Deir Mar Musa al-Habashi, il monastero di San Mosé l’Etiope, a nord di Damasco, sorge in un luogo frequentato da eremiti fin dagli albori del Cristianesimo. Fra loro fu anche il fondatore eponimo, figlio di un re africano, morto martire. Riedificato ed affrescato a più riprese nel Medioevo, dopo l’abbandono, fu rifondato nel 1982 dal gesuita padre Paolo Dall’Oglio come comunità ecumenica (cattolica e ortodossa) al-Khalil. L’esperienza è stata troncata nel 2012 dalla sua espulsione dalla Siria e dal successivo sequestro e scomparsa.
Mar Beham, vicino a Qaraqosh nel nord dell’Iraq, risale al IV secolo (fu fondato dal re assiro Sennacherib come penitenza per avere ucciso due figli divenuti cristiani); fu rinnovato nell’XI e nel XIII secolo (quando divenne luogo di conversioni per i mongoli); passò ripetutamente dall’ambito della Chiesa siro ortodosossa a quella siro cattolica melkita; fu abbandonato nel 1819 e riaperto vent’anni dopo; rifondato nel 1986, è stato recentemente svuotato dei suoi monaci per le violenze dei jihadisti dell’Isil.
Lo stesso vale per le comunità dei laici, più soggetti a ritorsioni e limitazioni economiche e più esposti alle violenze. Il nome di Maalula, in mezzo alle rocce a nord est di Damasco, significa “entrata”, “porta”. Insieme con Jubb’adin e Al-Sarkha-Bakhan, è uno dei tre villaggi in cui sopravvive l’aramaico occidentale . Fra i suoi monasteri, il più importante conserva le reliquie di santa Tecla, discepola di san Paolo. Secondo la leggenda, inseguita dai sicari del padre, che voleva farla ammazzare perchè si era convertita, le gole della montagna si aprirono per proteggerla . Lo stesso è avvenuto, più e più volte, per i cristiani che si sono rifugiati fra quegli strapiombi, fino a oggi.
Ma quali sono stati i motivi della vitalità e della secolare capacità di permanenza delle comunità cristiane del Vicino Oriente? Quelli che con maggiore evidenza emergono sul piano storico, analizzando le loro complesse vicissitudini sono insiti nel Cristianesimo stesso. Il primo è la virtù della speranza, che si fonda sulla certezza della Resurrezione, di Cristo e degli uomini, acquisita per tutti, garanzia di beatitudine eterna per i credenti, maxime per i martiri.
In più, il carattere universale del Vangelo non permette l’identificazione della fede con un popolo o un’etnia, lasciando sempre aperta la possibilità che anche uno sterminio induca nuove conversioni e una nuova moltiplicazione di fedeli: il valore della testimonianza va, così, ben oltre la sopravvivenza del singolo o di un intero gruppo o di una specifica tradizione. Anche l’interazione con i persecutori si presenta più profonda di una semplice resistenza: implica l’obiettivo della loro conversione, l’inclusione nella preghiera, l’annuncio anche attraverso la rinuncia estrema, alla vita stessa.
La predicazione del perdono e della riconciliazione permette, poi, non solo di ricreare, nel tempo e attraverso le generazioni, legami spezzati drammaticamente, ma può preludere all’assimilazione di elementi esterni e all’inserimento di più componenti diverse in una società rinnovata.
Altri motivi sono, invece, propriamente locali, sviluppati in un’area che da sempre è un crocevia di popoli, una sorta di faglia fra imperi e mondi culturali diversi che lì si scontrano e sì sovrappongono. Lì sono stati affinati sia all’interno di città cosmopolite, sia nelle reti degli eremi e dei monasteri, aperte ai pellegrini e potenzialmente estese molto oltre le gole delle montagne e le aridità dei deserti.
Lo sviluppo di tradizioni plurime e composite, la duttilità dell’adattamento, la capacità di mediare con più interlocutori, il patrimonio di una memoria ininterrotta che attinge agli esempi vissuti dei santi e si esplica nelle liturgie particolari e nel senso di appartenenza vissuto durante le celebrazioni possono essere elementi che favoriscono la resilienza, aiutando a superare i momenti più estremi di perdita e sradicamento.
Vi si aggiungono, da una parte, la volontà di inserimento nelle società arabe, la partecipazione alle loro vicende generali con contributi originali e, dall’altra, l’inserimento in reti esterne di Chiese e comunità cristiane e di gruppi di emigrati in tutto il mondo. Infine, in alcuni contesti nazionali che l’hanno resa possibile, resta un elemento di forza dei cristiani l’attivazione di sistemi di istruzione più evoluti e più inclusivi rispetto a quelli dominanti.
Un’analisi storica comparata delle singole situazioni nelle diverse fasi potrà individuare motivi e meccanismi ricorrenti, anche sulla base di elementi psicologico e psico storici.
Roma, Marzo 2021
Renata Salvarani © All rights reserved